lunedì 23 ottobre 2017

Cosce di pollo al curry... bruciate!

Martedì 3 ottobre: secondo giorno con il micio.
Con la sveglia che suona presto e una buona dose di sonno arretrato che – immagino – non riuscirò più a smaltire, mi rendo conto a stento di ciò che accade intorno, di non avere cacche sparse in giro per i pavimenti di casa, delle crocchette nella ciotola che sono sparite e del fatto che – udite, udite! – il gattino se la dorme della grossa in bagno, sopra al suo adorato pacco di carta igienica.
Rimango ad osservare il suo respiro regolare per un po’, prima di giungere alla felice conclusione che: non ha fatto un frizzo per l’intera notte. Oddio! Sempre che il sonno arretrato non abbia deciso di estinguersi rendendo pesantissimo quello dormito e le mie orecchie non si siano fatte dure, al punto da non avvertire neppure il miagolio più fastidioso. Non è un’ipotesi da escludere.
Con un piccolo dubbio a darmi fastidio, dunque, cerco di stabilire almeno qualche certezza. Ne acciuffo un paio così, su due piedi, aspettando che la macchinetta finisca di preparare il caffè. Primo: il cuscino sistemato accanto alla lettiera non è una zona relax di gradimento al gatto. Occorrerà valutare il suo attaccamento al bagno nei giorni a venire e stabilire il da farsi.
Secondo: a dispetto dei pronostici ricevuti, sempre escludendo l’ipotesi di cui sopra, per la quale le mie orecchie potrebbero non aver fatto il loro dovere, nonostante il gattino sia stato abbandonato solamente due settimane prima e per quanto quell’affido possa essere fresco, pare che abbiamo sfangato alla grande la nostra prima notte di convivenza. Fiù! Sospiro di sollievo.
Un sollievo che cerco di portare con me al lavoro e che mi sento di avere ancora, un attimo prima di girare la chiave nella serratura; al rientro.
Ok. Dannatissimo ottimismo e maledettissimo vizio di tirare conclusioni affrettate.
Mentre immagino di poter rientrare in casa, preparare una bella tazza di tè alla menta piperita, rilassarmi con una doccia calda al profumo di muschio bianco e sistemarmi comoda dentro una tuta fresca di bucato, prima di potermi accoccolare sul divano con un libro in mano, lo scenario che si presenta davanti agli occhi, al dì là della porta, è quello che sbrigativamente si potrebbe definire: l’esatto contrario.
Il tappeto dice WELCOME, ma… il bisognino marrone poco lontano da lui non sembra voler essere un messaggio altrettanto invitante.
Ok. Calma.
Magari, al gatto nemmeno la lettiera va poi così tanto a genio. O, forse, è vero che non è così semplice addomesticare un micio diffidente.
Cacca accanto al tappeto a parte… dove è Silver?
Rimane ancora il problema di non poter far conto sul fatto che risponda al suo nome, ma – poiché da qualche parte bisogna pur cominciare – inizio a girare per casa annullando il silenzio con il suono di quella parola.
Nisba! Come immaginavo.
Cerco al bagno, ma niente da fare.
Con tutte le altre porte di casa chiuse, sento arrivare di nuovo i brividi che precedono il panico, all’idea di dover passare altri trenta minuti anche stasera a dare la caccia a un gattino che non vuole farsi vedere.
Sfuma l’idea della tazza di tè. Qualunque cosa io voglia a ingerire, sento che potrei vomitare per la tensione. Cerco di rimanere ferma sul progetto di una doccia rilassante, ho l’impressione che mi servirà (e anche parecchio), dopo che sarò riuscita a concludere la mia caccia.
Sto sinceramente pensando di fregarmene del gattino e di rassegnarmi all’idea che prima o poi dovrà pur farsi vedere, quando lo sento soffiare mentre ispeziono per l’ennesima il bagno.
Stavolta è nascosto per bene, sotto l’ultimo ripiano del mobiletto, sopra la bilancia che – nonostante sia ad accensione automatica – rimane spenta. Deve essere una piuma… beato lui!
“Eccoti qui! A quanto pare ci siamo divertiti ad imbrattare la casa oggi, eh?!?”.
Ok. Livello sanità mentale drasticamente sceso al limite minimo.
Faccio domande a un gattino che neppure mi conosce e mi aspetto persino di ricevere un qualche tipo di risposta. Forse è una chiacchierata per rimandare l’inevitabile appuntamento con la cacca da asportare. Sì! mettiamola così.
Sto già andando a prendere guanti, spray disinfettante, sacchettino e carta assorbente, quando un miao fortissimo mi coglie di sorpresa.
Per essere tanto piccolo da non venir rilevato neppure dalla bilancia, ha una cassa toracica da fare invidia a quella di un tenore.
Per tutti i gatti spelacchiati del mondo!
Provo ad afferrarlo per prenderlo in braccio, ma si allontana di corsa e mi soffia.
Mi allontano io, miagola di nuovo e con insistenza.
“Se mi dai modo di pulire, di sistemarmi un po’ e ti lasci prendere, magari poi possiamo stare un po’ insieme sul divano. Che ne dici, ti va?”.
Come se un gattino abbandonato possa avere la più pallida idea di cosa sia un divano. Il mio livello di sanità mentale deve stare scendendo in picchiata.
“MIAOOOOO! MIAOOOO! MIAOOOO!”.
Ok. Io ho dei progetti chiari in testa, ma lui non è disposto a collaborare.
Panico!
Dopo i primi quindici minuti di miagolii ininterrotti, dove ho pulito il pavimento alla velocità della luce nel tentativo di riuscire ad afferrarlo per calmarlo un po’ e dove mi sono chiesta almeno un’infinità di volte perché mai avessimo deciso di annullare la tranquillità della nostra routine quotidiana in quel modo, a momenti non mi metto a urlare anche io per sovrastare i suoi lamenti.
I pesci non miagoleranno, vero, ma alle volte può essere anche meglio.
Serve un pezzetto di formaggio per convincere il micio a fidarsi di me e a lasciarsi prendere.
Provo con del groviera. Nisba!
A trenta minuti di ‘MIAOOO’ ininterrotti, mi ricordo dei vicini di casa ed esco un attimo fuori della porta per capire quanto quel piccolo, nuovo arrivato riesca a farsi sentire fuori di lì. Fortuna che, almeno le mura, sembrano reggere bene tutti quei lamenti. Non corro il pericolo di passare per una torturatrice di gatti. Magra consolazione, ma… ottimismo!
Alle sette in punto comincia a vacillare anche il progetto della doccia rilassante. Quel che serve è mettersi prima ai fornelli per preparare la cena: Cosce di pollo al curry.
Preparate una sola volta nella mia vita, spero di avere ancora nel cellulare gli screen della ricetta presa da internet.
L’occorrente c’è tutto. Pochi minuti e la pentola, ben coperta, già borbotta sul fuoco. Nei quarantacinque minuti di tempo che serve per la cottura potrei ancora riuscire a preparare un tè e a fare una doccia veloce, ma il micio non è dell’avviso di lasciarmi in pace.
Non si fa prendere. Scappa via ad ogni tentativo di approccio e miagola, miagola, miagola.
Rettifica della certezza numero due: forse è un po’ vero che approcciarsi a un gattino appena preso non è poi così facile.
“Guarda che, se continui così, ti riporto di  corsa dove ti ho preso”.
Una nuova sequenza di miagolii assordanti, per farmi intendere di non aver capito o che – semplicemente – se ne frega. Per un attimo mi torna in mente una scena particolare di “Io & Marley” e spero solamente di non ritrovarmi anche io a impazzire in giro per casa, gridando a tutta voce: “Sbarazziamoci di quel gatto!”.
No! Posso ancora resistere. L’odore del curry che sta invadendo la cucina è rilassante quasi quanto quello del muschio bianco che avrei dovuto annusare sotto la doccia.
Ma, sì! Il micino ha solo bisogno di abituarsi a questa sua nuova condizione. È solo questione di tempo.
Alle diciannove e trenta non riesco più ad essere lucida.
Faccio la doccia.
No! Non la faccio.
Faccio la doccia.
No! Non la faccio.
Potrei rimandare a più tardi, aspettando di non essere più sola con lui in casa.
Cerco di nuovo di afferrarlo e, stavolta, ci riesco.
Riesco a portarlo con me sul divano, anche se è difficile farlo fidare al punto da stare appoggiato sulle mie gambe.
Gli piace il cuscino rosso con i cuori bianchi e, almeno per un po’, sembra riuscire a tranquillizzarsi.
Riesco ad accarezzarlo con ritmo regolare. Niente fusa, ma… almeno, ha smesso di miagolare.
Sono dieci minuti di quiete bellissimi, prima di…
“Cos’è questa puzza?”.
Oramai parlare da sola, ad alta voce, è già abitudine.
Mi avvicino alla pentola sul fuoco con il timore di sollevare il coperchio. Silver scappa di nuovo e ricomincia a piangere.
“No! Non è possibile. Il timer non è suonato, non può essere”.
Cosce di pollo al curry… bruciate.
La chiave che gira nella serratura. Non ho il tempo di fare niente.
Silver che si affaccia dal bagno e sembra lo faccia per salutarlo. Il diavoletto che sembrava essersi impossessato di lui è sparito.
Non piange più, almeno quello è un sollievo. Continua a non farsi prendere, ma rientra nella norma.
“Come ve la siete cavata voi due?”.
“Alla grande!”, mento.
“Cos’è questa puzza?!?”.
“Hmm… niente! Tra le diverse cose da sistemare e Silver che si è fatto coccolare un po’… ho bruciato la cena”.
Guarda in pentola. Le cosce di pollo al curry hanno un aspetto pietoso.
“Che peccato!”.
“Sarà per la prossima. Che ne dici di una pizza da scongelare?”.
Ho dieci minuti di tempo per fare una doccia.

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