sabato 19 dicembre 2015

Marmellata d'arance fatta in casa!

L'altro giorno ero in ritardo. Ho sceso le scale per raggiungere la cucina con una fretta tale che avrei potuto inciampare nei laccetti ancora da stringere e rompermi una gamba. Ma sono riuscita comunque a notarlo. L'aria sapeva di arance. Ho pensato potesse essere merito delle fette messe ad essiccare dentro il forno della stufa, perché diventassero addobbi per l'albero. Poi, però, mi sono ricordata che - mentre la sera prima stavo giocando un po' sul divano con mio nipote Enea - mia sorella e mia madre stavano pulendo e spezzettando arance per poter fare la marmellata. Con i due vasetti in bella vista accanto alla macchinetta per il caffè, sono stata tentata di assaggiarne. Ma ero in ritardo.
Il giorno dopo me ne sono dimenticata.
Nella calma di questo sabato mattina, ho finalmente ricoperto la superficie di una fetta biscottata.
Avete presente i bambini, quando apprezzano particolarmente qualcosa che stanno mangiando e si portano il ditino alla guancia? Ho fatto lo stesso. Al secondo morso mi è venuta in mente la scena di un film che adoro: Paddington. Dove l'orsacchiotto protagonista va matto per la marmellata di arance e convince la famiglia Brown a prepararne in casa. "Tutti dovrebbero avere il giorno della marmellata!". Vero. Bello. Il quinto morso mi ha fatto rammentare un pezzettino di un altro film. Di genere diverso, ma altrettanto stupendo: Quartet. In una casa di riposo per musicisti ormai lontani dalle scene, a colazione uno di loro si fa portare marmellata di albicocche, pur sapendo che l’amico adora quella di arance. Al primo morso dice: “Dovresti assaggiarne, sai? Sembra di mangiare il Natale”. Mi sono chiesta a lungo che cosa volesse significare di preciso questa cosa, senza capire.
Oggi ci ripenso e, se proprio devo associare al Natale il gusto di qualcosa, associo quello di questa favolosa marmellata di arance fatta in casa. Altri due morsi, prima di un'altra fetta. L’ho addentata facendo una scoperta.

Alla tenera età di trenta anni vengo a sapere che la parola marmellata vuole indicare unicamente un prodotto ottenuto dalla mescolanza di zucchero e agrumi. Non sarebbe perciò utilizzabile per gli altri tipi di frutta (vedi sopra, in riferimento alle albicocche); che invece producono confettura. Sorrido a mia sorella e dico: “Sarebbe la farcitura perfetta per una torta, tipo Sacher!”. Golosissima Me!!! Insomma,  è sicuro che ne prepareremo ancora! ;-) Uso il plurale tipico di chi si è perso qualcosa e non vuole che accada di nuovo. :-D Un’altra piccola tradizione, ascoltando il suggerimento di Paddingoton?!? Chissà…

mercoledì 16 dicembre 2015

Incontri al supermercato... aspettando di vedere l'Albero!

Una commissione importante da sbrigare. Un ufficio al secondo piano di un centro commerciale non troppo affollato, ma dove si riesce comunque a respirare l’aria delle feste che si stanno avvicinando in fretta. Non ho tempo per curiosare nelle vetrine, ma mi riprometto di fare un giro appena avrò finito di sistemare la mia questione. Poco meno di trenta minuti e sono di nuovo fuori. L’Albero sulle pendici del Monte è ancora spento; peccato. Gironzolo, con la consapevolezza di non stare cercando nulla in particolare. Solo mossa dal forte desiderio di vedere quelle lampade colorate illuminarsi da un momento al altro. Niente. Poco lontano c’è il supermercato, vado lì.  Aspetterò lì. Le corsie sono tranquille e mi permettono di camminare con calma. Anche se so che non dovrei, vado a vedere cosa può esserci di nuovo dalle parti dei libri. Quello ce l’ho, l’altro arriverà per Natale, quest’altro non è che  mi convinca poi così tanto. Per quante letture arretrate ho in casa, ogni volta che mi ritrovo a fissare dei libri senza acquistarne nemmeno uno dovrei essere contenta. Invece, la delusione mi assale. Rimango a Fissare quelle copertine colorate per un po’, fino a che una voce arriva a riportarmi sulla terra. “Su, via… alzati di lì”. Non può essere rivolta a me. Abbasso lo sguardo sul pavimento e mi accorgo di una bimbetta seduta, che sta leggendo. Gira le pagine di un piccolo libricino, di quelli adatti a lei, con una velocità tale che sia io che la sua mamma abbiamo il timore che qualcosa possa andare storto e la carta possa rompersi. Io rimango in silenzio, la madre meno: “Non fare così! Guarda che questa signora qui te li fa pagare tutti quanti…”. L’addetta allo scaffale sorride. Ha in mano una decina di dvd da sistemare poco più in là dei libri. Nonostante l’avvertimento, la bimba non ne vuole sapere di riporre il libro e alzarsi. Ha l’aria di stare parecchio comoda, anche se non credo che il pavimento sia della temperatura giusta per una bimbetta che indossa un paio di calzamaglie bianche, sotto una gonna rossa e verde a quadri in stile scozzese. Sulla scelta della maglia sono un po’ più d’accordo. Un pullover grigio sotto un golfino di lana bianco, decorato in qua e in là con delle perline. Mi piacciono i suoi capelli castano chiaro. Ha una coda tanto lunga da fare quasi invidia a Raperonzolo. “Allora! Alzati, per favore”. Cominciano a stupirmi le buone maniere di questa mamma. Altre, al posto suo, probabilmente avrebbero già dato di matto da un pezzo. Strano, ma vero, una volta mi è capitato di imbattermi in una mamma che per poco non si fa venire un accidenti, per una macchia di gelato su una maglietta fresca di lavatrice. Ma questa è un’altra storia.
Torno a concentrarmi sui libri per adulti, ma con le orecchie non riesco a impedirmi di continuare ad ascoltare: “Ti ricordi che non volevi nemmeno venire qui dentro?”. Sembra una bimbetta tranquilla. Non me la so immaginare a protestare per qualcosa che non le va di fare. Ma, vista la tenacia con cui continua a difendere quel suo attimo speciale, seduta sul pavimento del supermercato, non mi stupirebbe sapere comunque che ha un bel caratterino.
“Ecco. Questo è l’Albero che siamo venuti a vedere”. Per un attimo faccio fatica a capire. Alzo di nuovo gli occhi e fisso il quaderno che la signora tiene in mano. La copertina è una fotografia dell’Albero. Finalmente ci guardiamo e mi chiede: “Sa per caso perché non è ancora acceso?”. Non mi dà il tempo di risponderle. “Siamo venute apposta. Sarebbe il colmo non riuscire a vederlo. Abbiamo chiamato anche il servizio turistico, ma non hanno saputo dirci niente”. Non ha inflessioni particolari nel tono di voce, che mi permettano di capire da dove è che arriva. “Non si preoccupi. È questione di minuti ormai. Vedrai che, una volta fuori di qui, ve lo ritroverete davanti”. Sorrido. Sembra un po’ più tranquilla e pare essersi convinta di non aver fatto un viaggio a vuoto. La bimba si alza dal pavimento e, finalmente, riesco a sorridere anche a lei. “Sai, lo sto aspettando anch'io!". Indico l’immagine dell’Albero sul quaderno che, pare, la madre sia intenzionata a comprarle. Ci salutiamo e io mi affretto a trovare il reparto degli addobbi di Natale. Un ninnolo natalizio è comunque un ottimo acquisto. Anche se con i libri c’entra come i cavoli a merenda! Quando esco, rimango per un po' a fissare il monte. Le luci sono accese. Chissà se la bocca di quella bimbetta si è spalancata per lo stupore. Io, penso proprio di sì!

giovedì 12 novembre 2015

Libri&Letture... "Granelli di Sabbia" di Andrea Gerosa

Quelle storie che non ti aspetti. Meglio… quelle storie che non ti aspetti possano piacerti. Non per altro, per il fatto di appartenere a un genere che proprio non leggi. Quel tipo di storie che, quando le incontri sugli scaffali di una libreria, semplicemente non consideri. Capita però che un Autore ti contatti tramite Facebook e provi a chiederti di fidarti di lui. Della sua scrittura. Delle sue pagine. Chissà perché, allora, decidi di metterti alla prova. Scegli di giocare con le righe di un romanzo, per vedere cosa succederà alla fine. C’è un serial killer di mezzo, ma decidi di non pensarci troppo e ti butti lo stesso. Perché se le cose di ogni giorno possono costringerti qualche volta anche ad affrontare ciò che non ti piace, allora può spronarti a farlo anche una passione. Specie se si tratta della passione per la lettura. Un click e l’e-book è subito disponibile. 



‘Granelli di Sabbia’, scritto da Andrea Gerosa (l’e-book è disponibile nei vari formati EPUB-MOBI-PDF all'interno dei diversi store online. Per il cartaceo si può contattare l’autore, tramite la sua pagina Facebook). Un autore che sa farsi apprezzare sin dalle prime righe, per il modo fluido che ha nel narrare. La scelta delle parole risulta attenta e mai ripetitiva. Non ci si annoia. La lettura scorre via veloce e mi ritrovo a stupirmi di quanto a tratti la consideri persino piacevole. Avrei detto che mai e poi mai un Thriller sarebbe stato in grado di tenermi compagnia, negli attimi prima di andare a dormire. Le pagine di Andrea sono riuscite a farmi mettere una croce su questa convinzione e, anche se credo non riuscirò a convertirmi completamente al genere, è bello poter dire di essere riuscita almeno un po’ a superare un piccolo blocco mentale. Rimane il fatto di avere qualche difficoltà nel esprimere un parere, trattandosi di qualcosa che non mi trova dotata di un qualunque metro di paragone. Detto che la storia è veramente avvincente e con un finale che non ti aspetti e che lascia forse la possibilità ad altro, i personaggi hanno saputo entrare a far parte della mia quotidianità con la stessa semplicità con cui alle volte ci riescono le persone. Ho cominciato a seguire le vicissitudini del ispettore Luca Veloso, del Tenente Camilla Dell’Angelo e di tutti gli altri impegnati nella caccia al serial killer tornato dal passato, con lo stesso interesse con cui ascolterei i racconti di un amica, mentre sorseggiamo un tè sedute al tavolino di un bar. Ogni volta che si lascia la lettura in sospeso è inevitabile domandarsi cosa succederà dopo. Non c’è mai nulla di scontato e la narrazione riesce a condurre fino alla fine in maniera assolutamente avvincente. Penso alla ragazza che non legge altro che romanzi d’amore. Penso alle volte in cui mi è capitato di lasciarne a metà uno, per concentrarmi su un altro. Nonostante caratterialmente a volte mi sia ritrovata un po’ a fare a botte con il genere, non ho abbandonato l’e-book. Credo stia proprio qui, allora, la grande abilità dello Scrittore. Nel riuscire a risultare convincente agli occhi di chi era già pronto a etichettarlo. D’ora in poi il genere Thriller è qualcosa di un po’ meno spaventoso, a dispetto del fiato sospeso che poi invece c’è sempre. Ora, non mi resta che lasciar parlare l’Autore… una nuova Blog-Intervista! Alla prossima!!!

Quando hai capito che saresti diventato uno scrittore e come è nata l’idea della storia?
Tutto è nato per gioco, quasi per una sfida con me stesso.
Dopo aver letto centinaia di romanzi, soprattutto thriller, mi sono chiesto: “Perché non provarci?”
A quel punto mi si sono affacciate alla mente un sacco di ragioni, tra tutte l’inesperienza; poi mi sono ricordato di aver sentito una frase, una di quelle che la gente di solito ama ricopiarsi sui post-it da attaccare sul frigorifero: “Una conquista senza rischio, è un trionfo senza gloria”.
E’ allora che l’entusiasmo del principiante ha avuto il sopravvento, ma a quel punto avevo bisogno di una trama nella quale il mio serial killer si distinguesse da tutti quelli che avevo già incontrato sulle pagine dei libri già letti.
L’idea di fare della sabbia il filo conduttore della storia è nata dalla mia collezione e dalla vicinanza al mondo degli appassionati di queste “briciole di mondo”, come i membri dell’Associazione Sand Dreamers Club: un modo originale per far conoscere l’universo di sensazioni che si provano guardando e tenendo tra le mani il contenuto di migliaia di contenitori di vetro, ognuno diverso dall’altro per colore e consistenza.
Ecco allora che le indagini del Commissario Veloso si intersecano con informazioni e notizie sulla sabbia, con l’intento di sorprendere e generare un po’ di curiosità su questa materia solitamente ignorata nella sua vera essenza.

Il commento più bello che hai ricevuto da un lettore…
Sono molti, ma vorrei qui riportare i due più significativi, almeno per me.
La prima recensione avuta da parte di Emma Fenu, che inizia così:
“Un uomo, collezionista di sabbie e accanito divoratore di thriller, decise, un giorno, di miscelare le sue passioni. Ed è cosi che l’uomo divenne scrittore e un libro, dal titolo “Granelli di Sabbia”, venne alla luce.”
In poche righe, ha colto pienamente il perché mi ha spinto a scrivere questo libro.
La seconda è di una ragazza conosciuta tramite Facebook e poi diventata amica nella realtà. E anche questa devo riportarla:
“Da sempre l’uomo è stato affascinato dalla luna. Il suo potere mistico sconvolge e travolge i pensieri e gli animi, anche i più innocenti. In fondo siamo tutti seriali nel perseguire le nostre aspirazioni più forti, nel raggiungere la Nostra sospirata luna.... tu ci sei arrivato.... grazie per aver portato anche me.”

Consigli che daresti a esordienti?
Crederci, crederci e crederci ancora. Non importa se il libro verrà pubblicato o no, ciò che conta è l’essere riusciti ad arrivare alla fine, portando su carta le proprie idee e le proprie emozioni. Di fatto, ciò che ho scritto alla fine del libro nella nota dell’autore:
“Provateci anche voi. Veder apparire su un foglio ciò che la vostra mente ha pensato, non ha prezzo!”

Libri d’altri… le tue letture preferite?
Leggo quasi esclusivamente thriller da parecchio tempo, dopo aver iniziato anche con libri d’avventura. Dal punto di vista letterario, nasco grazie ad autori famosi come Smith, Follett, Deaver, Patterson e Connely, per poi passare a vari autori, compresi, e non ultimi, gli italiani Carrisi e Carofiglio. Ho amato molto il primo libro di Faletti “Io uccido” anche perché l’ho sempre ammirato come uomo e artista. Da ognuno di loro ho “rubato” qualcosa, anche perché parliamo di veri scrittori e non di una persona, come il sottoscritto, che umilmente, ci prova.

sabato 31 ottobre 2015

Il mio 'stile dorsale'!

È qualcosa che ho visto circolare in Facebook un po’ di giorni fa. Magari è da tempo che esiste una cosa del genere, ma la mia attenzione ne è rimasta colpita solo da poco. Scrivere frasi, attraverso i titoli dei libri. C’è una pagina interamente dedicata (o forse più di una, non saprei). Credo esista anche un hashtag, ma nella confusione dei miei archivi mentali non sono riuscita a ritrovarlo e, comunque, non lo userei. Ho una sincera avversione per il cancelletto. Opinione del tutto personale, che esula dal fatto che possa esserci un’utilità intrinseca nel adoperarlo, al fine di aggregante tematico; come recita Wikipedia. Ci mancherebbe altro. 
Lo chiamano Stile Dorsale. Ed è ciò che mi ha costretto a fissare per giorni tutti i punti in cui sono sistemati libri in camera mia. Sembrava sufficientemente facile, da convincermi che in meno di un quarto d’ora anche io sarei riuscita ad avere la mia ‘combinazione’. Invece, niente. I primi tentativi sono falliti in maniera tanto rapida, da portarmi a rinunciare con la stessa fretta. Si vede che lo stile dorsale non fa per me. Oggi, solo per il fatto che accetto malamente darmi per vinta, c’ho riprovato e, non so come, sono riuscita a trovare una frase
Mettendo insieme un libro di pubblicazione non recentissima, acquistato dopo aver letto una recensione sulle pagine di un settimanale e ancora da leggere (quando voglio riesco a procrastinare alla grande!); una pubblicazione più esile, di cui essenzialmente non ricordo la trama, pur mantenendo la convinzione di averla letta prima dell’acquisto (insieme alla convinzione di aver spoilerato il finale, come faccio quasi sempre), il cui titolo racchiude in brevissimo quello che penso sia necessario avere sempre a disposizione; un altro che, più o meno alla stessa maniera del secondo, continua ad attirarmi per il suo saper racchiudere in un titolo l’importanza  e l'essenzialità di ciò che è sia semplice, che complicato; quindi l’ultimo. L'unico letto, per il momento. Ho scattato la foto, prima ancora di pensare che possa essere una frase perfetta per descrivere il mio importante 'progetto di parole'. Quello che ha superato la quota delle cinquantamila, quello di cui non ho ancora parlato, quello di cui ancora non parlo, per scaramanzia. Ma che - fondamentalmente - è tutto qui; in questa frase di senso compiuto, scritta con i dorsi dei libri.
Forse è per questo, che non sono riuscita a trovare niente prima. Perché, come per la maggior parte delle ricerche, capita di non trovare niente fino a che non si è disposti a vedere.




I sogni in tasca. Le parole giuste. Un semplice gesto di tenerezza. Scommettiamo che ti faccio innamorare?

Qual è il vostro stile dorsale?
Alla prossima! ;-)

sabato 17 ottobre 2015

A spasso per il Regno, con un piccolo Principe!

Questa è la storia di un piccolo Principe, che uscì una mattina per andare a spasso insieme alla sua fata Madrina. Il cielo sarebbe potuto essere più azzurro, ma era comunque piacevole sentire sul viso l’aria fresca di un giorno d’autunno e in fondo bastava vedere remoto il rischio di pioggia.
A bordo di una moderna carrozza rossa, Madrina e Principe avevano deciso che potesse essere una buona idea andare in cerca di funghi. Senza avventurarsi per boschi o arrivare chissà dove, avrebbero cercato tra i fili d’erba del prato poco distante dal Regno e, qualora quella caccia fosse riuscita a dare esito positivo, felici ne avrebbero raccolti in grande quantità.
Prima, però, c’era da dare un’occhiata ai diversi possedimenti, perché tutto fosse a posto. La carrozza avanzò sicura per le strade segnate da altri mezzi e, nonostante la terra bagnata qua e là e qualche pozzanghera di troppo, senza timore riuscì a raggiungere tutto ciò che c’era da poter vedere.
Lungo il tragitto, il Principe s’imbatté in una coccinella, che assicurò che tutto fosse a posto da quelle parti.


Incontrò anche una giovane chiocciola, ma questa era talmente tanto di poche parole, da non uscire dal guscio nemmeno per salutare, preferendo rimanere nascosta dentro la fessura di un muro di pietra. 


Il Principe avrebbe potuto punirla ed esigere rispetto, ma era un Principe d’animo talmente buono, che predilesse lasciar perdere e andare oltre.
Qualche metro più avanti, si imbatté nelle due Gatte guardiane.
Non gli erano molto simpatiche a dire il vero, ma anche questo il Principe scelse di non lasciarlo trapelare. Augurando loro una buona giornata, senza nemmeno chiedersi cosa andassero cercando con tanto fervore, passò oltre fino ad arrivare alla fine di quella prima strada.
Ce n’era ancora un’altra da controllare. Forse, però, era anche giunta l’ora di vedere se la fortuna avrebbe regalato loro i bei funghi prataioli che andavano sognando. Lesti, Principe e Madrina tornarono al prato che avevano costeggiato poco prima. Trovarono menta selvatica profumatissima e fiorita, in grande quantità.



E per un attimo il Principe divenne un giovane, piccolo ‘Cenerentolo’; perdendo a terra una delle sue scarpe nuove.


«Che il cielo non voglia di lasciarla qui!», la fata Madrina si affrettò a raccoglierla e a rimetterla al suo posto.
Con gratitudine, il piccolo Principe le sorrise. Era divertito e questo non impedì alla fata Madrina di pensare che potesse averlo fatto di proposito, ma… non avrebbe saputo dirlo con certezza.
Ripresero il cammino, un po’ delusi per quella caccia ai funghi finita con un nulla di fatto.
Raggiunsero l’altra estremità del Regno, dove un vecchio e saggissimo custode Bau non si stancava mai di fare la guardia. Assicurò loro che nessun intruso si era avvicinato al castello nella notte e che, fino che lui avrebbe avuto vita e fiato a sufficienza per abbaiare, mai nessuno sarebbe riuscito a farlo.
Il Principe si disse ben lieto di vedere e di sentire tanta dedizione, ma aveva un po’ fretta e preferì non dilungarsi troppo in chiacchiere. Doveva arrivare fino in fondo all’altra strada e assicurarsi che tutto fosse come doveva essere.
A metà della via incontrò un grillo, salterino e solitario, che riferì di come gli acini di oliva sulle piante del Regno fossero maturati bene e del fatto che, ormai, fossero pronti per essere raccolti. Il Principe garantì che se ne sarebbe occupato. Poi, giacché il grillo andava di fretta, lo salutò e si augurò che quei primi venti freddi non lo facessero stare troppo male.
Era quasi giunto il momento di tornare al castello, ma come poteva tornarvi senza qualcosa da riportare?
Quella mattina era uscito con il preciso intento di trovare un dono per la Madre Regina e per il Padre Re e, quanto è vero che era un Principe, non sarebbe rincasato a mani vuote.
Con la complicità della fata Madrina, allora, si avviò verso la zona dei trifogli.
«Forse riusciremo a trovarne uno di quelli speciali, con la quarta foglia a far da portafortuna»; disse la Madrina speranzosa. Nonostante lo sguardo aguzzo e il tempo perso a scrutare trifoglio per trifoglio, però, niente da fare.
Sembrava proprio che quei steli lunghi fossero i più normali e comuni che potessero esserci.
Principe e Madrina stavano per girare la carrozza e tornarsene al caldo, quando un’idea improvvisa arrivò a scacciar via i brutti pensieri. Pur non avendo trovato un quadrifoglio, avrebbero potuto comunque riportare qualcosa. Il Principe guardò sorridente la Madrina e subito si capirono.
Una sola foglia di trifoglio è un cuore e non può esserci regalo migliore per dei genitori tanto amorevoli. Finalmente soddisfatti, rientrarono a corte.



Il Principe poté riposare sereno sotto una coperta cosparsa di stelle, fino che tutti rincasarono. 

giovedì 15 ottobre 2015

Ancora 'su piazza'!

Un euro, per ogni volta in cui mi sono sentita domandare: “Sei fidanzata?”. A quest’ora, probabilmente, starei scrivendo dalle Bahamas; sorseggiando piña colada (pure da astemia). Non saprei… di preciso, cos’è che all’improvviso fa scattare una curiosità del genere, non trattandosi neppure di ipotetici, improbabili o presunti corteggiatori? Ho esaurito la fantasia, nella ricerca di una risposta che fosse originale. Che non lasciasse trapelare il mio fastidio, ma che non fosse irritante quanto un no secco. A trenta anni (che in molti casi continuano a non essermi riconosciuti… pare riesca a dimostrarne di meno), non è che non mi sia mai immaginata fidanzata (lo sono anche stata per 6 lunghi anni, a voler rinfrescare la memoria di alcuni dei più curiosi che, guarda un po’, conoscono le mie vicissitudini passate), o addirittura con marito e figli, come alcune mie coetanee. Ma… ho un piccolo problemino nei confronti di queste cose. Sempre avuto, tra l’altro. Nella mia testa non riesce a smettere di rimbalzare un pensiero, che fa più o meno così: “Non con chiunque! Non a tutti i costi!”. Dovessero suonare anche tutti i campanelli d’allarme del mondo, dovesse entrare in sciopero il mio orologio biologico, perché stanchissimo di ticchettare forte per farsi sentire; non riuscirei a cambiare idea. Non con chiunque. Forse perché, tra le tante cose, ho una personalità tendenzialmente egoista. Mi piace avere i miei spazi, le mie cose, le mie questioni personali e sarei disposta a ridimensionarmi solo e qualora dovesse capitare il tipo giustissimo (sorvolo sulle caratteristiche, ma ci tengo a precisare che sono lontana dal concetto di principe azzurro). Cosa c’è di stratosferico, o inaccettabile in un ragionamento del genere? Non mi sembra proprio di essere una marziana, ma per qualche strana ragione c’è chi ha provato (e continua a provare) a farmelo credere. A farmi credere che non avere un ragazzo, a trenta anni suonati, è manifestare una carenza grave. Un lasciar passare il tempo inutilmente, come a voler scherzare con il fuoco continuando a ignorare quanto possa bruciare. Strano, poi, che le uniche cicatrici che porto addosso, però, siano state fatte da persone che ho provato a tenere accanto a me. Perché ci sono stati momenti in cui ho pensato di aver trovato l’anima gemella (terminologia che tendenzialmente detesto, ma è sufficientemente sbrigativa, comprensibile e utile allo scopo), in cui mi sono sentita a casa, viva, desiderosa di crederci fino in fondo, vicino a qualcuno. Poi, però, nulla da fare. Allora, credo che il ‘Lui’ giusto debba ancora presentarsi. Perché, se lo avessi già incontrato, a quest’ora staremmo insieme. Nel frattempo, non me la sento di rimanere in apnea o di sentirmi un caso umano, con qualcosa in meno rispetto alla 'massa'. Quante probabilità ci saranno che io riesca a imbattere nel mio lieto fine personale? Non lo so. Spero quelle giuste. E se poi non dovesse essere un lieto fine sotto forma di fede al dito? Io sono disposta a farmene una ragione. Non è altrettanto con la faccenda di avere ancora a che fare con interrogativi del genere. Sarebbe fantastico ricevere di più domande tipo, che so… “Sei felice?”. Perché la felicità può dipendere (fortunatamente) da tanti fattori. Il più delle volte lo sono, non mi sembra poi tanto male la mia vita. Nonostante tutto, ho moltissimo per cui dire Grazie.
Uno subito... Grazie per averlo chiesto! ;-)

mercoledì 14 ottobre 2015

Dieci righe per... l'amore tra due persone!

Incontrarsi. Parlare. Di scrittura. Di libri. Di letture. Di progetti. Confrontarsi. Condividere. L'esercizio del giorno era: raccontare l'amore tra due persone in dieci righe (word garantisce che sono dieci)...
«Un saluto ad Angela, con un ti amo grande così. Il messaggio non è firmato. Speriamo sia arrivato comunque a destinazione». Lascio cadere a terra il pennello. Angela sono io. No! Non posso essere io. Angela è un nome comune. Abbiamo litigato. Te ne sei andato via. Non mi hai permesso di capire. Quel messaggio non può essere per me. Che senso avrebbe non dirmelo, guardandomi negli occhi? Che senso avrebbe l’anonimato? Raccolgo il pennello e spengo la radio. Penso al fatto che ci piace scherzare sulle dediche della gente. Inizia a tormentarmi il dubbio. Potrebbe essere tuo. Vorresti chiedermi scusa, ma non sai come fare. No! Non può essere. Il suono del campanello. Sei tu. Tu, insieme a una rosa bianca. Sai che la preferisco così. «Troverò sempre un modo per farti sapere quanto ti amo». Mi stai chiedendo di non dubitare più. Ti credo. Ti bacio.

martedì 13 ottobre 2015

Storie di Angeli!

Scrivere. Avere scritto. Essersi lasciata ispirare dalle bellissime illustrazioni di Cristina Berardi​. Da una, in particolare. Felicissima, scopro una busta gialla per me. È tra la posta arrivata oggi. "Già! Mi ero dimenticata di dirti che hai una raccomandata". La mamma e la sua memoria ballerina; prima o poi la obbligherò a fare una cura di fosforo. È già da qualche giorno che sto aspettando questo pacchetto e non vedo l'ora di poter stringere il contenuto tra le mani. Apro comunque con attenzione. È uno di quei casi in cui l'impazienza va tenuta sotto controllo. Assolutamente. 
Sono senza parole. E' sempre un battito di cuore speciale. È bellissimo. Sfoglio in fretta tutto, rimandando una lettura più attenta. Arrivata alla pagina con su il mio nome, mi scopro a trattenere il fiato. È già passato un po’ di tempo, spero sarà un piacere rileggere anche le mie parole. 




Grazie!!! 
A tutti. A Cristina. A chi ha saputo rendere realtà un bellissimo progetto. Agli altri 'colleghi autori'. A chiunque avrà voglia di perdersi un po' tra le righe di tante... Storie di Angeli! 

sabato 10 ottobre 2015

Un palloncino volante per riprendere a... volare in alto!


"Una volta passato lo spavento, 
si può riprendere a volare in alto!". :-D <3 
Bellissimo è sentire nascere un sorriso sulle labbra, per un pensiero inaspettato!!! :-D :-D :-D 
Un grazie immenso ad Anna Bernasconi​, del Blog meraviglioso 'Tra Realtà e Fantasia', per aver condiviso con me e con Tutto il futuro del mondo - L'uomo dei palloncini volanti​ un pezzettino di una storia speciale. Grazie, per aver regalato alla pagina Facebook la possibilità di 'far volare' questo suo capolavoro di colori... :-D Grazieeee!!! L'invito è ovviamente, sempre e comunque, esteso a tutti! Fatevi avantiiii!!! Messaggi, storie, pensieri, emozioni... legateli al filo di un palloncino! L'Uomo dei palloncini volanti ne sarà felicissimo! :-D Lasciatevi volare! In libertà. Con fantasia. Con le parole. Con qualunque cosa vogliate volare. In alto, sempre più in alto!!! ;-)


Ognuno si salva da solo!

Un altro giorno con il cielo grigio. Non ho nulla in contrario con le nuvole, quando decidono di tingersi di questo colore, ma riesco comunque ad accorgermi del senso diverso che sanno dare al tempo; alle giornate in generale. Un sabato con il cielo grigio è un sabato che, oltre a saper ospitare lunghi momenti di lettura, pause davanti alla televisione e tè e tisane a volontà (meglio se con qualche biscotto da sgranocchiare), riesce a ospitare anche momenti, più o meno lunghi e più o meno sereni, di riflessione. Magari mentre si sta seduti sul divano, con un film in dvd a far distrattamente da sottofondo e un piccolo plaid di pile disteso sopra le gambe; di quelli che fino a qualche giorno fa erano ancora chiusi nell’armadio, ben piegati e nascosti sotto mucchi di indumenti altrettanto ordinati.
Di tante riflessioni che si possono imbastire, poi, chissà perché, si va sempre a finire a pensare di sé. Ottobre è un mese ancora sufficientemente lontano dalla fine dell’anno, da potersi sentire autorizzati a rinviare ipotetici, forse necessari (ma non è detta!) bilanci personali. Eppure, mi rendo conto che anche per questo 2015 arrivato alla sua decima parte di dodici ne sono già successe di cose, che potrebbero bastare per provare a tirare le fila del discorso. Non ci provo. Manca la voglia.
Ma non posso comunque fare a meno di dirmi che, anche stavolta, per certe cose è andata bene. Non che non siano costate fatica. Non che non siano costate lacrime. Non che non abbia dovuto fare i conti con una sorta ormai nota di dolore che, ahimè, sembra avermi preso un po’ di mira.
Penso al fatto di credere che un po’ sia colpa mia, che in fondo non si soffrirebbe per niente e per nessuno, se non si permettesse a questo niente e a questo nessuno di toccarci nel cuore.
Sì. Indubbiamente, ho la mia giusta dose di responsabilità. Ma… cosa ne rimane, allora, della responsabilità altrui? Se anche fosse vera l’inconsapevolezza individuale dell’esporsi troppo al dolore, gli altri non potrebbero fare da scudo, evitando di infliggere ferite gratuite?
Qui aprirei volentieri un lungo monologo sulla superficialità (che a volte è cattiveria pura) umana, ma non è stato questo il giro fatto oggi dai miei pensieri.
Appurato di non essere riuscita a trovare la risposta a ogni domanda, mi sono ritrovata a pensare di avercela comunque fatta. Anche stavolta. Anche in una situazione umana che ha del paradossale, dove non sono riuscita a trovare neppure il briciolo di una sincera amicizia. È stata dura aprire gli occhi, ma ce l’ho fatta. Ho pensato a ipotetici ‘grazie!’ da dover elargire, almeno nella mente; almeno nel cuore. Il primo pensiero è andato alla mia famiglia. Perché ha saputo sostenermi, laddove il mio sorriso non ce la faceva a nascere. Perché ha saputo comprendere i miei silenzi e i miei malumori, senza fare troppe domande. Perché ha saputo esserci, nonostante tutto. Sì. Penso sia così l’essere fortunati ai massimi livelli, da questo punto di vista. Poi, però, mi sono ritrovata a pensare un’altra cosa ancora: Grazie a me! E l’ho urlato in mezzo ad altri pensieri. Grazie a me, ancora una volta. A me, che ho voluto credere con tutte le forze che una serie di concetti non compresi (per quanto lunga e tormentosa possa essere stata) non mi avrebbe uccisa dentro. A me, che – nonostante tutto – ho avuto il coraggio di andare in cerca della verità; pur sapendo che ne sarei uscita con le ossa rotte. A me, che nonostante tutto non ho mai reso pane per focaccia e ho sperato di farcela ad abbandonare le lacrime e le crisi di pianto improvvise, senza il bisogno di infliggere colpi bassi. A me, che oggi – oggi, come ieri e più che mai! – riesco ancora a guardarmi allo specchio con la convinzione di non essere una cattiva persona. Non di quelle in grado di bassezze di ogni genere, pur di… non si sa nemmeno che cosa. A me, che non ho mai utilizzato i miei dolori passati come ragione per far del male ad altri. A me, per tutte queste ragioni e per tantissime altre che non starebbero nemmeno in un libro. Allora, sono arrivata a una conclusione rapida, adesso facile da afferrare, avendola a portata di mano, ma quanto mai difficile da raggiungere. Non sono d’accordo con chi dice che: nessuno si salva da solo. È da dentro che parte la spinta per non morire nelle emozioni. È da dentro che parte la voglia di non arrendersi. È da dentro che nasce la grinta per dare il via alla ricerca di nuovi sorrisi. Nessuno può essere salvato da anima viva che lo circondi (per quanto possa essere amorevole come una famiglia), se prima non trova in sé la voglia di salvarsi. Se solo avessi permesso alla situazione di schiacciarmi del tutto, se solo non fossi riuscita a riflettere che non sarebbe stato giusto, se solo non avessi avuto il coraggio di porre domande, per non ricevere risposte (almeno, non dirette) o parole di conforto, se solo mi fossi vergognata di affrontare la mia debolezza a testa alta, anche a costo di andare incontro ad ilarità altrui, se solo avessi permesso alla mediocrità di certi bassi sentimenti di avere la meglio, a quest’ora sarei diversa. Non morta nell’apparenza, ma indubbiamente uccisa nell’essenza. Peggiore, indubbiamente. E sono sicura che ce ne saranno ancora di colpi da evitare, che faticherò sempre a riconoscere il falso a prima vista (un po’ perché per indole cerco di vedere il buono e il vero ovunque, un po’ perché… alle volte, il falso sa mascherarsi bene). Ma c’è viva nel cuore la speranza di farcela ancora; insieme alla speranza che parlare con le persone non sia sempre tanto inutile, che magari capiti di incontrare persone disposte ad ascoltare, ma ascoltare davvero e capire. Persone in grado di leggere il dolore e la paura negli occhi, senza sentire il bisogno di aumentarli; senza coltivare l’ambizione di riuscire a fare di peggio. Non lo so. 
Alla fine, come tutte le riflessioni che nascono per caso in un giorno di pioggia, a un certo punto il rumore dell’acqua addosso al vetro della finestra mi ha distratto e… subito dopo sono tornata nella confusione di pensieri di un attimo prima; che di solito sono i pensieri tranquilli di sempre.

giovedì 8 ottobre 2015

Di ciò che in effetti sono!

Quei sorrisi che nascono da incontri strani. Di quelli che durano un attimo, ma che hanno comunque in loro la capacità di riuscire a creare conversazioni strane. Brevissime; ma strane. Quei sorrisi che nascono nel primo istante del dopo. Quando è già tutto passato, ma è ancora tutto fresco per riuscire a fare a meno di pensarci. Non lo so. Mi sono ritrovata a pensare che, in fondo, anni addietro neanche io mi sarei immaginata così; oggi. Mi sono ritrovata a dirmi fortunata; felice… dopotutto. La porta è sempre la stessa. L’ambiente è tipicamente aziendale. Indosso una salopette, di quelle blu da lavoro, sporca in moltissimi punti. Ormai è più blu nell’immaginario, che nella realtà. Ai piedi ho il solito paio di antinfortunistiche bruttissime e sporchissime anche loro, le stesse che da settimane mi stanno supplicando di cambiarle e di concedere loro il pensionamento. Vedremo. Un giovane è appena arrivato con il furgoncino di un corriere e sta cercando proprio l’azienda per una consegna. Ha da attendere, ma io non posso trattenermi per tenergli compagnia. Un paio di minuti e me lo ritrovo vicino: “Lo sai che è la prima volta che mi capita di vedere una ragazza fare un lavoro del genere?”. Mi affretto a specificare che non sono l’unica donna lì e lui sgrana gli occhi. Forse, ha una scarsissima esperienza lavorativa. Non saprei. “Scommetto che non sei una di quelle ragazze tutte ‘Mimimì’”? Mi risulta difficile perfino scriverlo, in quel momento sono riuscita a evitare a stento una risata. “No… non direi”. A dire il vero, pensandoci meglio, ma com’è che è… una ragazza tutta ‘Mimimì’? Ricordi non troppo vaghi di femmine con  la puzza sotto il naso mi tornano in mente, incontri casuali che si sono dissolti nel nulla in meno di un secondo. Fosse questa la definizione per quel genere di persona… no! Non sono proprio io. Inaspettatamente, sento crescere dentro un senso d’orgoglio; di soddisfazione. Mentre il ragazzo continua a elargire complimenti in merito a quanto possa essere bello assistere a ciò che i suoi occhi osservano in maniera del tutto esterrefatta, penso che anni addietro non mi sarei immaginata così, ma che non mi dispiace esserlo ora. “Non è poi così male, in fondo! Nulla che una donna non riesca a fare”. Sorrido. “Ne sono convinto. Penso che, anzi, dovrebbero essere in più a pensarla come te”. Mi sono chiesta che genere di ragazze conosca o sia abituato a frequentare. Forse… sarebbe il caso di allargare un po’ il giro e permettere agli orizzonti di allargarsi. A tratti mi è sembrato di percepire un pizzico di cliché di troppo, comunque… Ci siamo salutati con un “Buon lavoro” reciproco. Rimasta tra il perplesso e il felice, ho ripreso ciò che stavo facendo; soddisfatta di ciò che non mi sarei mai aspettata di essere ma, in effetti, sono! 

domenica 27 settembre 2015

Ballo in Piazza

Quei piccoli ricordi che arrivano all'improvviso. Belli. Semplici. Comunque speciali.
Facebook dice che oggi Jovanotti compie 49 anni. Auguri! Cerco tra le sue canzoni la colonna sonora per questa giornata. Mica facile, le sue mi piacciono tutte. Mi imbatto in Safari e penso possa fare al caso mio. Mentre l'ascolto, come al solito divago con i pensieri e... mi ricordo di questo. 
Un'insieme di ispirazioni. La bellezza di una sua vecchia canzone scoperta per caso, la magia di un messaggio ricevuto da un'amica virtuale. Il rimanere a guardare le due cose fondersi insieme nella mente, per poi provare a raccontarle insieme. Il tutto condito con una manciata di fantasia e con una pizzico di polvere di stelle; perché è importante non smettere mai di credere nella forza dei propri Sogni!

Il racconto è uno di quelli della raccolta "Sotto l'Albero". Siamo nel 2012. La scrittura risale a un anno prima. Lo rileggo e noto delle piccole differenze, rispetto al mio stile di oggi. Una consapevolezza che porta con sé un pizzico di piacere, perché vuol dire essere riuscita a crescere in qualche modo. Ma avverto anche un pizzico di fastidio, nel sentire presente quella parte di me che, dovesse riscriverlo adesso, non userebbe le stesse parole.
Consiglio di lettura: YouTube alla mano, cercate il brano. E' bellissmo! :-D
Il titolo della canzone? Il Re. E' il 1997...
Ok! Lo cerco io per voi... ecco il Link! Basta un click.  
Buona domenica a tutti, alla prossima!

Ballo in Piazza


Hey, puoi veder la mia corona? Guarda il colore rosso del mantello
e questo trono ed il tappeto guarda
io sono il re e questo è il mio castello…

La voce di Angelo era più dolce che mai. L’orecchio di Alessandra ed il collo, piacevolmente accarezzati da quel respiro caldo. Gli occhi, fissi sul cielo stellato sopra di loro.
Alessandra stava cercando di non mettersi a piangere. Ma una lacrima dispettosa sfuggì comunque al suo controllo; per cadere dritta, dritta sopra alla giacca nuova di lui.
Respirò profondamente, prima di immergersi per l’ennesima volta nella profondità di quello sguardo che l’aveva fatta innamorare mesi prima.

…Il regno mio si estende all’infinito
Lungo le valli, i monti, il cielo e il mare
Io sono il re del tempo e della storia
Io sono il re venitemi a guardare…

Le labbra di Angelo, illuminate appena dalle luci gialle e lontane dei faretti, continuavano a muoversi su quella canzone.
Quella canzone, che lento non era. Ma che… era tutta loro.
Alessandra lo strinse ancora più forte a sé e mosse la mano piccola, in quella più grande di lui, fino ad intrecciare le dita con le sue.
Avrebbe voluto confessargli per l’ennesima volta quanto lo amava, ma tacque.
Sperando di non inciampare nei laccetti delle scarpe, che sapeva di non aver stretto bene, continuò a ballare.
Se era vero ciò che le avevano sempre detto sul primo giorno dell’anno; se era vero che era da considerarsi un po’ lo specchio di tutti i restanti, allora quel duemiladodici era cominciato sotto il migliore degli auspici.
Un desiderio che si realizza è un battito di cuore più forte degli altri.
Ricordava di aver parlato con Angelo di quel suo sogno speciale, ma… non pensava che Angelo l’avrebbe presa tanto sul serio.
Era stato l’agosto prima in spiaggia a Fregene, sdraiati sui lettini dopo una lunga nuotata.
“Perché, quel libro sempre appresso?”. Le aveva chiesto lui sorridendo, mentre lei era già pronta ad aprire per l’ennesima volta quelle pagine.
Quindi, incapace di trattenere l’entusiasmo, Alessandra aveva cominciato a raccontargli di quella sua vacanza di anni prima a Gubbio.
Insieme con i genitori era andata a trascorrere qualche giorno in Umbria e, camminando per le vie della città dei Ceri, si era imbattuta nell’immagine della copertina di quel libro.
Il manifesto annunciava alla cittadinanza una presentazione ormai passata, ma… ad Alessandra era bastato fissarsi per caso su quella che sembrava essere una bella storia d’amore, per decidere che alla prima libreria che avrebbe incontrato ne avrebbe acquistata una copia.
Da allora, rileggeva quella storia almeno una volta all’anno.
“Spero di poter vivere anch’io un amore così, un giorno”. Le aveva detto arrossendo.
Un rossore che era andato peggiorando, quando Angelo – sorridendo a sua volta – le aveva chiesto: “E quale sarebbe la parte che ti piace di più?”.
Alessandra confessò di ripensare spesso a quel sogno che la protagonista aveva fatto durante un viaggio in pullman, di perdersi nell’incanto di un romantico ballo in piazza Grande e di rimanere proprio senza fiato ogni volta che nella mente riusciva a focalizzare una scena simile.
“Ti andrebbe di leggerlo per me?”. Angelo sembrava sincero, anche se Alessandra non poteva negare di aver pensato che la stesse prendendo in giro.
Un attimo. Un solo attimo, poi quel pensiero svanì e tutto ciò che rimase fu la bellezza di poter condividere quel piccolo momento.
Aprì il libro fino a pagina trentasei e lesse sicura.
Non le era mai piaciuto leggere ad alta voce, ma… farlo per Angelo sembrava non pesarle affatto.

…Perché sono innamorato
E sono corrisposto
Io sono il re, io sono il re di questo posto
Senza regno né corona
Con una donna che mi vuole bene…

Quella parte della canzone… quelle parole…
Alessandra sentì una nuova lacrima rigarle il viso e la osservò morire nello stesso punto della giacca; dove era morta la prima.
“Ti amo”. Anticipò di una frazione di secondo il luccichio di un flash.
Poteva essere che turisti arrivati sin lì da chissà dove stessero immortalando l’imponente bellezza del palazzo dei Consoli; a ferma testimonianza di un orgoglioso: “Ci sono stato anch’io”.
Ma poteva anche essere che qualcuno lì avesse notati in mezzo a tutto il resto, ballare stretti come se il mondo fuori non esistesse, ed avesse deciso di immortalare quella testimonianza. Rendere indelebile un amore forte e raccontare agli amici una volta a casa – magari davanti ad una pizza e con in mano un bicchiere di birra – che si aveva avuta la fortuna di esserci; di fronte alla dimostrazione del più potente dei sentimenti.
Alessandra sorrise appena.
Poi, prendendo Angelo in contropiede, si schiarì la voce e iniziò a cantare insieme a lui.
Poco, ma sicuro, se Jovanotti li avesse sentiti in quel momento non sarebbe riuscito a farsi sfuggire un applauso; nemmeno per sbaglio.
Ma niente rende ridicoli, se la decisione di fare parte dal cuore e porta con sé le giuste motivazioni.
Alessandra avrebbe voluto gridare al mondo intero la sua fortuna.
In fondo, però, bastava che fossero due le orecchie tese ad ascoltare.

… Io sono il re, ma lo so solo io
E lo sai solo tu amore mio
Nessuno può veder la mia corona
Ma sono il re, io sono il re in persona…

Una giravolta e un’altra ancora. Angelo continuò a farla danzare, come se stessero ballando sul più importante dei palcoscenici.
I suoi occhi si persero per l’ennesima volta in quelli di lei e – in quel momento – furono sue, le lacrime a scendere.
“Ti amo. Da sempre”.

…Perché sono innamorato
E sono corrisposto
Io sono il re
Io sono il re di questo posto
Senza regno né corona
Con una donna che mi vuole bene
Con una donna che mi vuole bene
Con una donna che mi vuole bene…

Sorrisero. Le dita, ancora intrecciate.
Ad Alessandra parve di sentire nell’aria perfino il suono dei piatti, il rumore dei tamburi e il trillo dei flauti.
Un attimo di silenzio ancora, prima di un tenerissimo bacio.
Il tocco delle labbra. Il suono possente del Campanone che rintoccava l’ora.
Sì, Alessandra non aveva più dubbi.
Quella piazza…
Tutto e tutti, in quella piazza, stavano vivendo insieme a loro quel magico momento.
Lasciò che la lingua di Angelo la accarezzasse ancora per un po’, poi – seppur dispiaciuta – si staccò da quella bocca sorridente e chiese: “Pizza?”.
Il tempo da trascorrere in quella bellissima città rimaneva poco, ma… Alessandra sapeva esattamente dove andare.
A passo lento lungo via dei Consoli, fino ad arrivare di fronte alla fontana del Bargello.
“Il battesimo dei matti lo rimandiamo alla prossima, vuoi?”.
Era fuori discussione, che sarebbero tornati in quel posto; ogni volta che sarebbe stata loro possibile.
E Alessandra non poté fare a meno di impazzire di gioia, al solo pensiero.
Strinse ancora una volta le braccia intorno al collo di lui, si mise ancora una volta in punta dei piedi per poter arrivare a baciarlo senza che dovesse essere lui ad abbassarsi, poi – con lo stesso filo di voce con cui lo aveva accompagnato cantando – disse: “Grazie, per avermi concesso questo ballo. Sei il mio Angelo”.
Nulla di più.

In fondo, non c’era nient’altro da dire.

sabato 26 settembre 2015

Un sabato non è martedì!

Promemoria: ripassare il corretto ordine dei giorni della settimana e ricordarsi che dopo il venerdì c’è il sabato, non il martedì. Ore 5.30. Il suono della sveglia che da quasi ventuno giorni sa regalarmi un’ora di pace assoluta e di libertà. Mi alzo per spegnerla, con gli occhi ancora chiusi. Il cellulare è sulla scrivania, la camera è completamente buia perché la sera prima ho chiuso le persiane. Cerco di andare a memoria, nella speranza di non incappare nel famosissimo e fastidiosissimo incidente del mignolo contro qualche spigolo ignorato. ‘Mi sa che oggi passo. Non ce la faccio. Mi rimetto a dormire’. Mi odio per questo pensiero. Che non è da me, ma che la mia testa formula comunque. Per convincermi, per essere proprio sicura di riuscire ad annientare i sensi di colpa già affiorati, aggiungo: ‘Tra un’ora suona quella per il lavoro, oggi me la voglio dormire tutta’. Non so come, ma mi domando anche che giorno è. Un rapido ragionamento, il vago ricordo di ciò che ho fatto ieri, gli occhi sempre chiusi. È martedì. Mi rimetto in fretta sotto le coperte, soddisfatta di poter avvertire ancora per sessanta minuti il loro tepore. Pare sia tutto ok. Mi risveglio dopo circa venti minuti e mi rendo conto che è un ‘pensiero-bomba’ a svegliarmi. Oggi non è martedì! Oggi è sabato. Come caspita ho fatto a ribaltare la settimana? Sorrido. Ed è un po’ quel sorriso di chi sa ridere di se stesso e quello di chi, invece, si è fatto improvvisamente consapevole di una cosa bella. Pare quasi un dono inaspettato. Rapidissimamente, ragiono sul fatto che il sabato (tutti i giorni in generale, ma questo un po’ di più) non ha lo stesso sapore per tutti. Per il momento, i miei sabati hanno la fortuna di sapere di libertà, di progetti da tirare avanti, di momenti più lunghi da passare a casa e in famiglia e di… parole scritte, che possono andare anche oltre l’ora abituale d’esercizio. Mi rimetto a dormire. Anche se va contro la tabella di marcia, è chiaro che non posso provare a scrivere ora; con questa confusione in testa ;-) Rimando di un po’, ma sono sicura che non mancherò l’appuntamento. Infatti! Ora… me ne aspetta un altro. Sempre creativo, sempre speciale! In proposito, questo è l’ultimo mio sabato a disposizione. Buon sabato a tutti… che non è martedì! ;-)

mercoledì 23 settembre 2015

Sveglia presto e... 'incontri curiosi'!

Ricordarsi di non tralasciare niente, quando si tratta di spolverare. 5.45 del mattino. Già all'opera davanti al computer,  mi piace sempre di più questa nuova abitudine. La lampada sul comodino è accesa e, subito, cattura l'attenzione di una cimice verde. Io odio le cimici! (Penso sia un odio piuttosto diffuso in giro). Cerco di ignorarla, anche se il rumore del suo ronzio è talmente tanto forte che disturba i miei primi pensieri precari. Aspetto che se ne vada di lì, sarà questione di poco. Niente da fare. Continua a ronzare e... a sollevare polvere. Come caspita c'è finita tutta quella polvere nella lampada? Urge trovare una risposta a interrogativi insistenti: 1 - quando è che ho spolverato l'ultima volta? Non ho appuntato la data sul calendario, ma guardando il comodino mi rendo conto che non è passato molto tempo. 2 - perché mi sono dimenticata della lampada? Ricordarsi di non farlo mai più.  3 - a parte farmi rischiare un feroce attacco di starnuti, la cimice verde vorrà morire arrostita come fosse un kebab sullo spiedo? Forse è una cimice che, oltre che darsi da fare con le pulizie che io ho saltato, sa leggere nel pensiero. Perché solleva un’ultima manciata di granelli con le zampine, che non attecchiscono facilmente sulla superficie verniciata e liscia della lampada, e se ne va. Non riesco a vedere dove va a finire, ma – vista l’ora e considerato il ritorno del silenzio – la immagino volare via con atteggiamento stizzito e con l’intenzione di nascondersi bene per schiacciare un pisolino, prima che sorga il sole. Torno alle mie pagine virtuali, alle mie parole. Chissà se anche la mia protagonista si troverà mai ad avere a che fare con una cimice? L’idea mi solletica non poco e la descrizione di una scena in particolare affiora nella mente. Non è il momento di inserirla, ma spero di ricordarmene quando sarà il tempo giusto. Sorrido. Mi piace quando le idee nascono da ispirazioni momentanee, da casualità, da fatti piccini, piccini, picciò… non abbastanza, però, per passare inosservati. È un buon inizio di giornata! 

mercoledì 16 settembre 2015

"Lei... si merita il sole!"

Oggi una stazione di radio diversa. Niente Radio Subasio, c’è la ‘Virgin’ a tenermi compagnia.  Mi distrae quel che basta per non pensare. A tanto. A tutto. Forse, a niente. Non lo so. È il momento della domanda per gli ascoltatori (una delle tante, quella che coglie più o meno nella metà della mattinata). Prima, però, tutto un discorso su quanto sia importante interrogarsi nella vita. Ogni giorno. Porsi domande per capire se come procediamo, è veramente come avremmo voluto procedere. Porsi domande, in merito agli obiettivi che si vorrebbe poter raggiungere. E salta fuori che il discorso della ricerca della felicità è qualcosa di imprescindibile. Non esiste persona che non desideri essere felice. Quando si arriva alla domanda finale, mi accorgo di aver provato mentalmente a rispondere a tutte e quattro le precedenti. Prima di dimenticarle completamente  e rimanere concentrata su quell’ultimo interrogativo: “Come vorresti essere ricordato?”. Torno a ieri, al giorno in cui la bisnonna materna ha scelto di abbandonare le sue vesti terrene. Quella domanda alla radio mi ha fatto risuonare in mezzo ai pensieri una cosa sentita in mezzo alla gente che c'era. Qualcuno si lamentava per il caldo, che è tornato a farsi eccessivo. La persona vicino a me ha commentato a voce non proprio bassissima, ma a malapena percettibile comunque: “Per come è stata in vita, Lei se lo merita tutto questo sole”. Ecco. Poter essere ricordati, forse, nel migliore dei modi. Anche se abbiamo avuto un rapporto perlopiù distante e questo alla resa dei conti mi ha dato un cruccio, mi sono ritrovata a sorridere. Quei sorrisi che non sanno di felicità, ma piuttosto di soddisfazione. È bellissimo riuscire a raccogliere ciò che ci manca di una persona, attraverso il ricordo altrui. È magico poterlo fare, attraverso ricordi altrettanto magici. Sulla scia del suggerimento alla radio, allora, mi sono ritrovata a sperare di poter essere ricordata anch’io con altrettanta solarità; un giorno. Perché se anche la vita a tratti è stata dura, non lo è stata abbastanza da indurire il cuore. Penso sia la cosa più bella che una persona possa riuscire a fare, non invecchiare dentro. Non morire dentro, fino alla fine. Poi, quando a un certo punto l’anima se ne va altrove e per un po’ non rimane che un corpo inerme, quella persona di cuore riesce all’istante a guadagnare l’eternità. Che non è altro che essere ricordati con immenso amore e grandissima stima, da chi ha avuto la fortuna di conoscerci nel corso del nostro viaggio sulla terra.

martedì 25 agosto 2015

Come fosse la pagina di un diario...

Vorrei sapere quante volte, nell’arco di un’esistenza, può capitare. Vorrei sapere se sia giusto che capiti. Vorrei che mi si rispondesse alla domanda con semplicità, con la stessa, tranquilla, semplicità con cui io ho saputo porre la domanda. Una domanda universale, in effetti. Non perché, universalmente parlando, tutti ora si stiano chiedendo la stessa cosa, ma è una domanda universale nel suo essere in grado di rendersi utile al raggiungimento di diversi risultati. Oddio. Risultati non è proprio la parola che stavo cercando, ma… ciò che conta è che sa rendere bene l’idea. Immagino lo sappia fare; sì.
Dunque… il riuscire a raggiungere ciò che si sta cercando. Per qualche istante, seppur breve, di un piccolo frammento della mia vita, mi sono ritrovata a dar per scontato che ce l’avrei fatta. Come dice una pubblicità in questo periodo, invece, ‘c’era l’asterisco’. Non tutte le domande riescono a trovare una risposta e io questo – per dirla, invece, con le parole di una canzone – ‘non lo avevo considerato’. Se poi penso al fatto che la domanda, quella universale di cui sopra, è: “Perché?”, forse riuscirete a capire le ragioni del mio sgomento. Che a tratti è tristezza, che a tratti è debolezza, che a tratti è rassegnazione, che a tratti è dolore. Ci sono delle volte in cui è anche forza, perché riconosco di essere quel tipo di persona che non fa che ripetersi che ogni singolo giorno è un dono e che nulla, del tempo che ci è concesso, può andare sprecato. Perciò, anche in passato, anche da cuore ferito, anche quando avrei voluto solamente chiudermi in camera e piangere tutte le lacrime del mondo, ho preferito non farlo. Non perché non sentissi il dolore di certe ferite, ma perché ci sono ferite peggiori, perché non è giusto avvilirsi, perché… la vita è un dono e come tale deve essere trattata. Pensiero mio personale e mio personale ragionamento appena messo per iscritto, non pretendo certo di avere il lume della ragione dalla mia. È una pura questione di opinioni. Solamente, qualora avessi la fortuna di poter arrivare a soffiare su un notevole numero di candeline, non vorrei mai ritrovarmi a pensare ai miei giorni passati e dire… mannaggia! Speriamo non succeda.
Perciò… cerco di essere forte. Volendo cercare di splendere mi verrebbe da aggiungere: anche per le persone che mi sono accanto e che mi vogliono bene, ma… non è questo che mi spinge ad esserlo. Non è la ragione che mi ripeto ogni volta che sento di averne bisogno. La mia Famiglia è importante e darei la vita, se servisse. Ma è per Me. Per Me che cerco di essere forte. Alla stregua delle volte in cui ho cercato di essere Felice, alla pari di quelle in cui ho cercato di divertirmi, nello stesso modo in cui cerco di raggiungere qualunque obiettivo possa sentire faccia ‘Per Me’. Le due paroline magiche. Ed era proprio, esattamente, “Per Me” che sono andata alla ricerca di un perché. In merito a una situazione per cui non starò a perdere tempo nel elencare dettagli ma per cui, vi basti sapere, ho provato ad affrontare qualsiasi ragionamento. Ce ne sono stati alcuni che sarebbero decisamente andati a mio favore, ma per cui – a questo punto – non mi spiego il perché alcune cose siano sembrate essere, invece non sono state. Perché, nel caso in cui fossi riuscita a incastrare correttamente tutti i pezzetti del puzzle, l’immagine completa non è riuscita a prendere forma sotto i miei occhi. Non lo so. Ho provato, allora, a ipotizzare tutte le ipotesi (chiedo scusa per il giro di parole, forse poco elegante, ma anche in questo caso decisamente esplicativo e essenziale allo scopo) negative, quelle che mi vedevano sicuramente in errore e che, per mia sfortuna, significavano anche dover soffrire. Sono riuscita a far ribattere queste ipotesi negative con la realtà, solo fino a un certo punto. Poi, gli avvenimenti sono come impazziti. Se è il ‘negativo’ la chiave giusta di lettura, perché ho sentito questo? Perché mi è stato detto questo? Perché mi è stato chiesto questo? Perché è stato ragionato insieme a me questo? Perché mi è stato risposto questo? Un rebus. Un labirinto di cui non sono riuscita a trovare l’uscita, ma nel quale mi sono stancata di rimanere. Non ho tantissima pazienza con ciò che non torna e mi spaventa l’idea di non trovare la strada, dopo un po’. È per questo che torno indietro. esco dal labirinto nello stesso modo in cui ci sono entrata, perché è inutile rimanere ancora a cercare. Certo sono delusa. Di non essere riuscita a capire, ma non solo di questo. Dopo un’altra marea di altri infiniti ragionamenti, sono rimasta delusa di non essere stata vista come una persona. Fragile, debole e che da un certo punto di vista poteva averne già passate a sufficienza… poteva bastare. Non ho l’abitudine di lamentarmi del mio passato, per quello che è stato so di aver applicato la stessa logica di adesso e di aver trovato risposta a tutti i perché che mi interessava di scoprire. Laddove non l’ho trovata, e mi riferisco a un caso in particolare, dove non mi sono nemmeno presa la briga di approfondire alcunché, è perché sapevo (sempre saputo e tra l’altro confessato, senza nascondere nulla) di non essere mossa da sufficiente interesse. Eppure, anche in quel caso, non mi sono mai dimenticata di avere davanti a me una persona, non un robot, non altro. Cortesia e accortezza che non mi è stata ricambiata, ma… vabbé! È proprio vero che scivola via in fretta la delusione, quando in fondo non ci (non mi) importa. Quando c’è la volontà di capire, invece, è tutta un’altra storia. Allora, torno a sentirmi quella persona che non è stata capita. Quale è stata la mia colpa? Cosa c’è stato di non chiaro? Perché? Cosa ha permesso, al di fuori, di vedermi come qualcuno che poteva pure soffrire, tanto che importanza ha? Perché il mio dolore non è riuscito a mettere un freno? Perché?

Io tutte queste cose non le ho capite. So che però porto addosso la cicatrice. So anche di coltivare ancora in me la speranza di riuscire a capire, un giorno. Ma se dimentico i film a lieto fine e, come anche prima, immagino che possa esserci anche un ‘negativo’… so che potrei anche continuare a sperare invano. Perciò… mi affido ancora una volta a qualcosa che è stato mio nonno a insegnarmi (non per diretto intervento, ma era una cosa che la nonna mi ha raccontato. Non è stata l’unica persona a dirmelo, ma è a queste due figure familiari che voglio legare il tutto): Accade solo ciò che deve accadere. Se è destino che io riesca a riaffacciarmi al labirinto, ad attraversarlo senza inciampare e ad uscirne… succederà. Chiudo lo sfogo. Senza rileggere. Come fosse la pagina di un diario che sono pronta a girare. Mi scuserete.